Le memorie non possono aspettare




 Stefano Sarti

 

Le memorie non possono aspettare, cantavano i Talking Heads in quell’incredibile album che fu Fear of Music. E di memorie dobbiamo parlare, se vogliamo discorrere di quel grandissimo tema che è la Centrale Termoelettrica di Vallegrande di proprietà di Enel Spa, diventata nel tempo, forse per un’avvenuta vena poetica dei padroni del vapore, centraleEugenio Montale”.

E allora la memoria non può che andare a quanto successe in questo territorio, noto come il distretto o provincia della Spezia che dir si voglia  (ancora oggi Enel nei documenti ufficiali scrive “di” La Spezia, che facciamo, li perdoniamo?) quando si decise di impiantare la “più grande centrale termoelettrica d’Europa” (allora lo era davvero). Pompe magne, inaugurazioni, magnifiche sorti e progressive, e un dato incontrovertibile: livelli occupazionali di un certo peso, oggi fortemente ridimensionati. Era la metà degli anni ‘60, e la questione ambientale non era contemplata. Un orpello, una roba da ricchi. Movimenti non ne esistevano, associazioni neppure, a parte Italia Nostra orientata però meritevolmente più sul tema del paesaggio. Wwf e, soprattutto Legambiente, sarebbero venute molto dopo.

Una centrale costruita in più tempi, fino a raggiungere la potenza monstre di 1865 MgW, per lungo tempo davvero la più grande in Europa. Combustibili: carbone e olio. Che meraviglia! Si scoprì più tardi che l’Enel aveva costruito la Centrale senza licenze edilizie, così come si scoprì che, pur non essendoci gli ambientalisti, non mancavano persone fortemente orientate ai temi ambientali e di tutela della salute. Queste persone erano Pino Malagamba, del comitato di quartiere di Melara, membro del Partito Comunista Italiano, e Maria Elena Tartaglione, lei non certo membro di quel partito ma molto impegnata nella battaglia, qualche anno dopo, per impedire la realizzazione dentro il golfo della Spezia del campo boe petrolifere.

Malagamba organizzò una protesta (anzi, più proteste) del quartiere, anche con manifestazioni di piazza con tanto di persone con maschere antigas. Certo, le parole d’ordine non erano e non potevano essere quelle radicali di rimessa in discussione del carbone e dell’olio e per un diverso scenario energetico, che presero campo negli anni ‘90, però furono sicuramente profetiche.

Malagamba si dimise da presidente del comitato di quartiere di Melara in polemica con il suo stesso partito perché l’amministrazione spezzina di sinistra - allora il centro sinistra era altra cosa 😀 - accettò, in ordine alla conclamata illegalità edilizia realizzata nel costruire la Centrale, una proposta di sanatoria, a giudizio di Pino offensiva per il quartiere di Melara e per l’intera città.

A metà degli anni ‘80 i movimenti ambientalisti cominciarono a svilupparsi in Italia e anche nella nostra città. La crisi petrolifera, le crisi geopolitiche nell’area mediorientale, aree di serbatoi di petrolio, cambiarono gli scenari e le sensibilità. Un gruppo d’intellettuali, il così chiamato Club di Roma con a capo Aurelio Peccei, commissionò al MIT del Massachusetts un rapporto chiamato “I limiti dello sviluppo”.

E da allora nulla fu come prima. Il carattere finito delle risorse, quelle energetiche ma anche quelle ambientali e naturali, proruppe in tutta la sua drammaticità. Occorreva cambiare rotta, anche se un guizzo di carattere popolare e di massa si ebbe solo con l’avvento dei movimenti ambientalisti in Italia e del partito dei Verdi, soprattutto in Germania.

E qui da noi nacque la battaglia condotta da Legambiente, Arci e Acli ma con l’apporto di tutte le associazioni e comitati (Wwf, Lipu, etc.) contro la presenza e l’inquinamento della Centrale Enel della Spezia.

Fu una battaglia non facile, ma che si basava su una piattaforma credibile e cadenzata nel tempo, per arrivare a una dismissione programmata della Centrale Enel. Quindi non un “Enel deve chiudere subito” ma un “Enel deve chiudere da qui a una certa data, con un periodo di transizione gestito e un uso (innovativo per l’epoca) dei combustibili (con l’introduzione del metano) in modo da diminuire i fattori inquinanti.

La strategia fu subito quella di dare la voce ai cittadini. La strada giusta era quella del referendum. Molti non sanno che il Referendum consultivo non era contemplato dai regolamenti comunali. Allora le associazioni intrapresero due strade, ovverosia due raccolte di firme: la prima per chiedere l’istituzione del Referendum Consultivo, e così avvenne. Il Consiglio Comunale votò su questo e fu approvato un regolamento che indicava il percorso per l’indizione di referendum consultivi: una prima raccolta preventiva di almeno 100 firme (notificate a norma di legge) con le domande referendarie, il vaglio da parte di una commissione che avrebbe dato un parere sull’ammissibilità o meno del referendum, il parere definitivo del Consiglio Comunale e la successiva campagna di ulteriori 3400 firme per raccogliere il numero minimo per richiedere il referendum secondo il regolamento: 3500 firme. Anche qui molti non sanno che la commissione comunale (composta dal presidente dell’ordine degli avvocati, dal segretario comunale e dal presidente del tribunale spezzino) diede parere negativo al referendum proposto dagli ambientalisti. Una bocciatura su tutti i fronti. Il Referendum fu dichiarato illegittimo.

Il Comune della Spezia non aveva, secondo la commissione dei tre, alcuna competenza sulla materia energetica e quindi nemmeno sui destini della Centrale Enel spezzina.

Il Consiglio Comunale decise però diversamente, ribaltò il parere della commissione tecnica, cancellando però una domanda delle tre proposte dal comitato promotore del Referendum sulla Centrale Enel. Ci fu uno sforzo enorme delle associazioni che indissero il Referendum per raccogliere le firme. Molto fecero anche le forze politiche, l’allora PCI, Democrazia Proletaria, i Verdi.

Il Referendum si tenne regolarmente nel giugno del 1990. Resistette anche a un ricorso al TAR da parte dell’Enel per annullarlo, ricorso portato poi al Consiglio di Stato e comunque perso dall’Enel anche nella sede romana. Resistette anche a un tentativo di far fallire il quorum con alcuni settori conservatori orientati all’astensione.

Con molta sorpresa, anche una forza come la CISL fece una campagna smodata per l’astensione.

Astensione che non ci fu. Gli spezzini votarono con il 54% circa di percentuale votanti, e circa l’80% disse Sì ai due quesiti che cito a memoria: “Volete che la Centrale Enel sia dismessa nel 2005? Volete che nel periodo che intercorre tra ora e il 2005 venga usato il metano come combustibile principale (sul metano tornerò nella parte finale di questo pezzo, cioè tra poco)?”.

Due anni dopo, e senza questo risultato forse non sarebbe stato possibile, l’allora Sindaco Gianluigi Burrafato chiuse la Centrale, o meglio ritirò l’autorizzazione allo scarico delle acque di risulta della Centrale nel Golfo.

La storia (e sto per chiudere questo mio intervento) è poi nota. Il Referendum non fu rispettato, anzi per certi versi fu tradito, la Centrale non fu dismessa nel 2005 e il metano, pur avendo l’Enel costruito poi due gruppi a Turbogas, non divenne mai “combustibile prevalente”.

Già, il metano.

Proprio in questi giorni abbiamo consegnato le osservazioni al progetto di una nuova centrale a gas nell’area di Vallegrande. Il carbone dovrebbe chiudere per sempre nel 2021 (dovrebbe...), quindi 16 anni dopo la data profetica del referendum, il 2005. E se allora il metano poteva essere un combustibile per la transizione (le rinnovabili negli anni ‘90 non avevano certo il peso che hanno oggi), oggi non lo è più, è sempre un fossile e inquina pure quello. Certo, non come il carbone. Ma la nostra società oggi ha bisogno di altro.

Vedremo come finirà questa storia. C’è una centrale da chiudere, un’area enorme (70 ettari) da bonificare, un’economia da reinventare. Ma con i fossili no, per favore!

 

Stefano Sarti

Legambiente La Spezia

 


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