La Bellezza in Matematica
Scritta su un muro di Via Venezia, La Spezia
Cos'è la Bellezza in Matematica? Vediamolo insieme a un ingegnere e a due fisici:
Miroslav
Paolo
Luporini, Vittorio Grandi, Grazia Betti, Massimo Ragadini
Il
ministero della Ricerca Scientifica Italiana strinse un accordo con le
principali Università dei paesi slavi per un progetto congiunto dalle finalità
ancora sconosciute. Il progetto prevedeva il trasferimento di molti studiosi
slavi presso l’Università di Spezia. Ciascuno avrebbe avuto un assistente
spezzino prescelto dallo stesso studioso tra i diplomati del liceo Scientifico
“A. Pacinotti”. Non importava l’età, perciò venni scelto da Miroslav.
L’incontro avvenne fortuitamente nelle sale dell’ex liceo, in via Venezia. Lì
c’erano pure gli alloggi degli studiosi, che vi erano giunti insieme con un
pullman che si era parcheggiato in viale Aldo Ferrari, invadendo la pista
ciclabile. Molti curiosi li attendevano, così come si aspettano i tifosi delle
squadre avversarie dello Spezia. Pochi poliziotti deviavano il traffico
automobilistico e disciplinavano la folla. In mezzo a loro c’ero anch’io, sceso
dal mio vicino palazzo per curiosità di quell’assembramento. Va detto, per
inciso, che i timori della pandemia erano cessati grazie ad un vaccino
russo-cinese che aveva prevalso sui fallimenti del primo russo, di quello
americano, degli europei e del primo cinese. Disperati, i russi e i cinesi si
erano messi insieme a studiarne un altro che, testato e approvato, fu regalato
all’umanità, fatti salvi i costi di produzione, e reso disponibile gratuitamente
a tutti gli stati. L’Africa e gran parte degli stati del Sudamerica intanto
erano stati falcidiati dal Covid-19.
Gli
scienziati slavi si diressero verso l’entrata del palazzo dei loro alloggi. Ad
attenderli c’era il sindaco di Spezia con uno stuolo di politici, il gonfalone
della città sorretto da una splendida vigilessa dai capelli corvini e dagli
occhi vivaci. La salutai, ricambiato da un aperto sorriso della mia amica Anna.
Il sindaco Guido Melley, salutando i nuovi illustri ospiti, richiamando antiche
parole citate a memoria, lasciò aperti alla fantasia di ciascuno i fantastici
sviluppi che questo esperimento avrebbe potuto avere. Nessuno ebbe
l’impressione che la vaghezza dalla quale era avvolto il progetto avrebbe
potuto essere una perdita di tempo e denaro. Invece, il clima positivo dei
recenti successi scientifici, primo fra tutti quello del vaccino che aveva
salvato la presenza della specie umana nell’universo, e l’impegno ecologista di
ciascun cittadino del pianeta per conservarla, fecero sperare nell’evoluzione
della mente umana, che sarebbe passata prima di tutto dai suoi più eccelsi
rappresentanti, gli scienziati.
Abbandonati
i campanilismi nazionalistici, gli scienziati slavi ci apparvero come fratelli
maggiori da cui apprendere la strada della vita.
Io,
a sessantotto anni, incontrai Miroslav, 35enne, al bar dell’ex Liceo
scientifico “A. Pacinotti”, situato pressappoco là dov’era una volta l’Aula di
Scienze, dove Guido Melley c’invitò tutti a un aperitivo. Il modesto rinfresco
fu l’occasione del nostro incontro. In inglese, Miroslav mi chiese dove poteva
acquistare una SIM locale. Gli spiegai che il tabacchino all’angolo tra Viale
Aldo Ferrari e Corso Cavour le aveva di un gestore economico ma molto
affidabile. Mi chiese di accompagnarcelo. Quando fummo da Ghezzi, s’informò dei
Giga e dei minuti e scelse una SIM con un numero di Giga che a me parve
esagerato. Ero scettico e pensavo che non si sarebbe neppure lontanamente
avvicinato alla soglia massima di consumo. Mi sbagliavo, come mi era già
successo molte volte nella vita. Non sbagliai, invece, ad accettare l’offerta
di essere il suo Assistente scientifico, nonostante gli avessi fatto presente
un paio di volte la mia età. Mi ripetè: “I prefer you older”. E aggiunse: “More
expert, wiser!”. M’inorgoglii e annuii leggermente, con un pizzico di modestia.
Si
vedrà in seguito che lui, 35enne, saggio lo era, molto ma molto più di me. L’accordo
era fatto, con una stretta di mano. Non si parlò di compenso perché a
quell’epoca il denaro era un concetto in gran parte superato. I bisogni
essenziali erano tutti soddisfatti e quelli accessori non erano così
importanti, se c’era la soddisfazione di partecipare generosamente a un
progetto più importante.
Furono
assegnate le stanze e vidi che prevedevano due letti singoli affiancati. Non mi
aspettavo tanta promiscuità. Vidi poi che era molto necessaria perché dovevo
essere disponibile, come si diceva una volta, H 24. Venni svegliato spesso nel
sonno, per registrare le novità delle riflessioni dello scienziato, e dovevo
essere pronto ed efficiente.
Oltre
alla soddisfazione d’imparare cose nuove, c’era quella di ‘partecipare’
fattivamente e personalmente alla scoperta di novità che venivano da me,
scienziato anch’io. Il primo incarico fu quello di ascoltare un audiolibro in
inglese che partiva da alcune frasi di Putin sullo scenario politico mondiale
con forti riferimenti allo stato della scienza. Putin sosteneva che le
conquiste scientifiche dovessero avere una finalità economica diretta. Il
ricercatore, che era partito dalle considerazioni dello statista, aveva
un’altra opinione perché sosteneva, con le prove del passato, che le scoperte più
importanti per l’umanità erano state fatte cercando tutt’altro. Sosteneva,
infatti, che persino ‘il gioco’ portasse l’evoluzione degli spiriti e favorisse
le invenzioni. Se l’umanità nel suo complesso fosse emancipata dal bisogno, il
tempo delle persone sarebbe diretto alla propria elevazione, tramite l’arte, le
lettere, la musica, la scienza. Di per sé sarebbe già un successo ma porterebbe
l’uomo ai confini dell’universo, alla propria deificazione.
Mentre
ascoltavo tutto l’audiolibro, Miroslav dormiva, la sua mente ascoltava e si
metteva in sintonia con la mia. Al mattino le nostre menti erano accordate, pur
con il significativo divario. Tutta la sua vita, le sue ore, erano state
dedicate allo studio, che aveva alimentato la sua curiosità, che, diretta dalla
volontà, non aveva interferito né deviato, ma vi aveva dato la necessaria
ampiezza e larghezza di vedute. Risvegliandosi, Miroslav accese lo smartphone
su un programma silenzioso che sbirciai vedendo lo schermo di sbieco; non
indossava cuffie ma gesticolava come un cultore di Thai-Chi o come un ballerino
o un direttore d’orchestra. Non sapevo cosa facesse. Pensai a una preghiera
mattutina. Non s’inginocchiò verso la Mecca, come immaginavo che avrebbe fatto.
Si limitava a seguire un flusso dal basso verso l’alto di “+” e “-“ che
s’incolonnavano da sinistra a destra, disegnando motivi geometrici dinamici
insieme con altri simboli che mi parevano elettrici. Ecco cos’era! Musica! Era
Musica! Una notazione musicale scientifica assistita dall’elettronica, che
fungeva da karaoke e che valeva per qualsiasi strumento immaginabile, era PURA
IMMAGINAZIONE! Quando ebbe finito, gli chiesi d’insegnarmi a leggere la sua
musica. Fu sconcertato dalla mia richiesta perché era stupito che fossi
interessato e a tal punto determinato ad addentrarmi in una materia che lui
riconosceva molto complessa e destinata a pochi. Mi promise che avremmo
dedicato un’ora al giorno a quello studio, non interferendo con il progetto.
Invece mi allestì diverse sessioni di lezione sullo schermo del pc al quale
sedevamo accoppiati. La mia evoluzione nacque proprio di lì, dalla Musica inascoltata.
Iniziai apprezzando la Bellezza di queste onde che si sviluppavano come in un
pentagramma verticale che ricordava il rullo perforato delle vecchie pianole
automatiche.
Un
giorno, Miroslav, affacciato al terrazzino su Via Venezia, mi chiese cosa c’era
su quella scritta sul muro del palazzo di fronte. «La casa comunale? E’ una
scritta, credo… sportiva. Risale forse al 2012, No, forse no. Fa riferimento a
una data di una partita che si svolse un 13 dicembre. Non so di quale anno.
Dice “ONORE A CHI ANCORA OSA” ed è firmata “Senza futuro”.».
«Ma
cosa significa?»
«Dal
punto di vista calcistico, la pomposità della frase invita a un tifo assoluto,
alla fede ad oltranza nella squadra che però contrasta con la firma “Senza
futuro”, che dispera nella vittoria, ma rende onore a chi lotta pur senza
speranza. Non escludo che possa essere una scritta ispirata alla destra
estrema.».
«Stante
l’eterna opposizione degli estremi, com’è andata, calcisticamente?».
«Lo
Spezia fece sperare quando dalla serie C passò alla Serie B e si comportò bene,
ma nel 2020, in piena pandemia, si compì un miracolo perché nella partita di
Play-Off lo Spezia pareggiò ma, in virtù di questo risultato, si trovò in Serie
A. Il sindaco e il Presidente regionale, che avevano assistito alla partita,
scesero in campo a festeggiare con la squadra. Nello stesso istante, come un
sol uomo, circa ventimila tifosi (chi dice trentamila), dopo la fine della
partita vista alla tv, si riversarono nelle piazze, nelle strade, e fecero
festa per gran parte della notte. Furono veramente tanti a osare, per tutto il
campionato sino a quella notte del 20 agosto, memorabile per certi aspetti ma
anche per altri.».
«What
else? Quali altri?»
«Eh,
dispiace ricordarlo, ma la pandemia era quasi stata dimenticata, per il basso
numero dei contagiati, ma pochi mantennero la mascherina calzata su naso e
bocca e l’assembramento, i cori, le urla, il contatto fisico, gli abbracci, i
balli, fecero impennare i dati del contagio.».
«Che
dannata serie di coincidenze! Ci furono molte perdite?»
«Ce
ne furono alcune…»
«Ti
percepisco reticente…»
«Sì…
morirono dei parenti di mia moglie… che NON avevano partecipato ai
festeggiamenti. Probabilmente ebbero dei contatti da Asintomatici positivi.».
(Con
un sospiro) «Tragic tragedy!»
Torniamo
alla Musica inascoltata, come la chiamo io, che commercialmente si chiama “Blue
note”, come la “nota preoccupata” della scala blues. Il significato
dell'aggettivo inglese blue è connesso all'associazione tra
il colore
blu e
un senso di nostalgia e tristezza tipico della musica afro-americana,
così come essa era percepita dall'orecchio di uditori europei abituato
alla dicotomia maggiore-minore.
https://it.wikipedia.org/wiki/Blue_note
Dedicammo
a “Blue note” parecchie ore sottratte allo studio perché Miroslav sosteneva che
la componente emotiva evocata dalla Musica, specialmente se goduta in questo
modo non acustico, giovava alla concentrazione e alla meditazione e stimolava
aree cerebrali che, ‘per simpatia’, elevavano il potenziale elettrico di aree
collegate. Allo stesso modo, praticavamo esercizi fisici di stretching e
ginnastica sul posto, come mai avevo fatto in vita mia. Il parco del “2
giugno”, rimesso rapidamente in ordine dall’ultima amministrazione comunale,
che aveva ripristinato e piantumato il “Parco della Pace” con alcuni nuovi
platani, compreso quello di “Maestra Civetta”, ci aiutò per le nostre
passeggiate “peripatetiche” nelle quali conversavamo con altri scienziati e
assistenti. Un vulcanologo ci mise a parte dei suoi studi sui Campi Flegrei,
sul bradisismo, sul Vesuvio e sulle eruzioni che vi si erano avvicendate. Era
preoccupato per la densità abitativa di quelle zone che avrebbe potuto renderne
impossibile una rapida evacuazione. Stimolato da quella relazione così
corredata da riferimenti storici e calcoli con le maree causate dal periodo
lunare, mi ripromisi di approfondire, più avanti, l’argomento, magari con
qualche lettura. Quello scienziato mi suggerì d’iscrivermi a un gruppo Facebook
molto buono che seguiva l’andamento delle misurazioni della zona e spesso
pubblicava articoli o recensioni di nuovi libri molto interessanti che
spiegavano i fondamentali della vulcanologia e talvolta anticipavano nuove
teorie. Gruppo
FB-Quelli della zona rossa dei Campi flegrei
Miroslav è il nome slavo per “Mirko” e significa “portatore di pace”. Lo scoprii da una ricerca che feci sul suo nome. Una mia mania ereditata da mia madre che aveva un libro sul significato dei nomi. Lo comprò prima che nascessi, per farsi un’idea sulla scelta del mio. Lo accantonò presto perché, mentre proseguiva la gravidanza, conobbe un bambino che forse avrà avuto solo sei anni e che le raccontò la storia di Cristoforo Colombo così bene che, alla fine del suo racconto, lei gli chiese il nome: “Paolo”. In quel momento decise che quello sarebbe stato il mio nome. Le piaceva l’apostolo, un grande cristiano, con una storia avventurosa, a partire dalla conversione. Il significato del mio nome è “piccolo” ma lei ci vide invece una grandezza che si sarebbe realizzata. Mi piace qui ricordare il suo nome: “Alessandra”, che deriva dal greco Aléxandros ed è composto dal verbo Aléxein, 'proteggere, difendere', e dal sostantivo Andròs, 'uomo'. Garantisco che mantenne fede al proprio nome, avendo cura dei figli, del marito e di molti bambini che le furono affidati poiché era maestra. Non mi era chiaro, invece, come Miroslav intendesse tener fede al proprio nome. Da lui traspariva un equilibrio che costantemente ricercava, tramite le pratiche fisiche e mentali, come la musica, appunto, e pure il gioco. Io gli facevo da partner molto volentieri, anche se, inizialmente, ero una schiappa. M’insegnò una linea di giochi che avevano alla base la teoria dei vettori, che si studiano in Geometria. Si ambientavano nel mondo degli sport che avevano alla base la velocità. Ne cito due: la Formula uno e lo slalom o la discesa libera, come variante. Il più facile da imparare è quello della discesa libera. Poi, il più divertente è quello della Formula uno e, infine, il più complicato, quello dello slalom, con l’ulteriore variante del doppio slalom. Tre parole so’ troppe, due so’ poche: Per non dilungarmi, metto qui un link a un altro post che li descrive scrupolosamente in dettaglio:
https://laparteperiltutto.blogspot.com/2020/12/i-giochi-di-miroslav.html
Lo slalom e
il doppio slalom sono più difficili ed io, personalmente, li trovo meno emozionanti
della Formula uno, che è senz’altro il mio gioco preferito. Vorrei proporre a
Miroslav, uno di questi giorni, una versione olimpica del kayak nel campo di
gara artificiale con boe, perché prevede in certi casi che vi si debba girare
attorno senza toccarle. Questo schema di gioco apparve in Scientific America in
uno dei suoi primi numeri e le università di matematica e di fisica lo
promuovono tra gli studenti.
Amavamo pure altri giochi del tipo della battaglia navale, che lasciavano una piccola parte al caso, alla fortuna. Miroslav lasciava spazio nella sua vita al caos perché sosteneva che la sua funzione fosse benefica. Ecco un altro spunto per una riflessione. I giochi di territorio che preferivamo erano “Zone X” e “Black box”. Li trovate sempre a questo link:
https://laparteperiltutto.blogspot.com/2020/12/i-giochi-di-miroslav.html
Per
lo stesso motivo amavamo molto “Black Box” o Scatola nera, secondo la traduzione letterale, che è uno dei giochi
che si basano sul pensiero induttivo tipico del procedere scientifico. E anche
il nome deriva dalla terminologia scientifica: con «black box» si definisce un
qualsiasi oggetto o sistema di cui non si conosce il funzionamento interno ma
il cui comportamento può essere descritto da un osservatore esterno.
Chi
già conosce il Master Mind e il Super Master Mind e si trova tra le mani questo
nuovo gioco, non potrà che apprezzarne la maggiore snellezza, eleganza,
bellezza e dinamicità. Anche qui si gioca in due; si possono fare però anche
solitari utilizzando il supporto del Black Box Game Book, che contiene 80
schemi con relativi dati.
Io, con Miroslav, non sono arrivato a complicare molto questi giochi, mentre si potrebbe, perché giocavamo con carta e matita e non ci curavamo del punteggio ma giocavamo a turno ciascuno con la propria griglia e curavamo molto il disegno della nostra molecola, arrivando a introdurre una griglia di 100 case e il quinto atomo.
Mi sono chiesto quale fosse il campo di studi di Miroslav e, in sincerità, non sarei stato capace di dirlo ed ero preoccupato di dover rispondere alle domande che mi sarebbero state fatte se non ci fossero stati risultati rapidi. Sembrava che tutto lo interessasse ma non dirigeva la sua attenzione verso una particolare zona d’interesse.
Compresi il significato di quel primo audiolibro
che ascoltammo insieme la prima serata che passammo insieme. Immaginai che
inseguisse il sogno della sintesi, la ricerca di una legge generale che ancora
mancava e che avrebbe inquadrato ogni ambito della conoscenza. Già altri
avevano provato, matematici e soprattutto fisici. A mio parere, avrebbero
dovuto allearsi con dei filosofi. Nell’antichità la filosofia coincideva con la
fisica che perciò ricercava l’ἀρχή (arché), il «principio»,
l’«origine», che rappresenta per gli antichi
greci la forza primigenia che domina il mondo, da
cui tutto proviene e a cui tutto tornerà.
Ipotizzavo
un ricorso della storia del pensiero scientifico alla ricerca di un principio
unico dell’Essere.
Non sbagliavo di molto. A conoscerlo meglio, Miroslav, dopo un lungo periodo di studi individuali molto faticosi che lo avevano imposto nell’accademia europea, era diventato un esteta. Senza esternarlo, faceva della sua vita, delle sue giornate, un’opera d’arte che, come l’Arte, giustificava se stessa. Aveva trovato l’essenza della vita, il suo senso, e non sentiva il bisogno di rendere concreta questa scoperta in una pubblicazione definitiva.
Questa preoccupazione lui la passò a me, che ne ero solo un apprendista. Tenevo un taccuino personale che mai gli sottoposi, in cui annotavo ciò che di significativo apprendevo. La mia scoperta personale fu che Miroslav aveva “capito”. L’illuminazione che molti ricercavano gli apparteneva e stava vivendola senza il dovere di farla provare ad altri. A parte me, tutti ne erano all’oscuro. Sarebbe potuto apparire come un qualunque accademico gaudente, un po’ svagato, che pestava inconsapevole l’acqua nel suo mortaio in una lunga ricerca inconcludente. Invece, “aveva trovato!” “Eureka!” era il suo grido muto. Conscio di questo magma liquido che lo stava sommuovendo, un giorno lo sondai e gli chiesi cos’era per lui la Bellezza, volutamente con l’iniziale maiuscola.
Meditando appena un secondo, senza girare la testa ma puntandomi gli occhi dritto nei miei, con passione pronunciò la sua definizione:
«La Bellezza è l'insieme delle qualità, percepite
tramite i cinque sensi, che
suscitano sensazioni piacevoli
e che attribuiamo a elementi dell'universo
osservato (come oggetti, persone, suoni, concetti), che si sente
istantaneamente durante l'esperienza,
si sviluppa spontaneamente e tende a collegarsi a un contenuto emozionale
positivo, in seguito a un rapido paragone effettuato.».
Commentai:
«Sembra la Treccani».
«No,
è Wikipedia. Me la sono studiata a memoria.»
«Tutto
è Bellezza, quindi!»
«E’
il Principio dell’Universo, ne è l’Omega!»
«E’
l’eterno, il Male non esiste!»
Stetti
in silenzio, lo sguardo sulla penna e il taccuino, dove trascrissi queste
frasi.
Continuammo
a passare le nostre giornate giocando, leggendo, conversando senza fini
particolari, visualizzando musica. Prendemmo a scaricare in streaming vecchi
musical americani in bianco e nero.
Presi
contatto con un mio amico, Vittorio Grandi, ingegnere in pensione, iscritto a
Filosofia, e gli chiesi di scrivere degli appunti sulla Bellezza. Eccoli:
LA BELLEZZA DELLA MATEMATICA Vittorio Grandi
"Καì γνώσεσθε τὴν ἀλήθειαν, καì ἡ ἀλήθεια
ἐλευθερώσει ὑμᾶς." "Conoscerete la verità e la verità vi
farà liberi." (Giovanni
VIII, 32) La prima cosa da chiarire, prima di poter parlare di “bellezza della matematica”, è che la matematica è un'arte. La differenza tra la matematica e le altre arti, come la musica e la pittura, è che la nostra cultura non la riconosce come tale. Tutti comprendono che i poeti, i pittori e i musicisti creano delle opere d'arte e che si esprimono per mezzo di parole, immagini e suoni. In effetti, la nostra società è piuttosto generosa nei riguardi delle manifestazioni di creatività: architetti, chef e persino registi televisivi sono considerati artisti. Perché, allora, non i matematici? In parte il problema è dato dal fatto che nessuno ha la minima idea di quello che i matematici fanno. A quanto pare, l'impressione comune è che i matematici siano legati in qualche modo alla scienza: forse aiutano gli scienziati con le loro formule, o inseriscono grandi numeri nei computer per una ragione o per l'altra. Certo è che, se dovessimo dividere il mondo in “sognatori poetici” e “pensatori razionali”, la maggioranza delle persone porrebbe i matematici nella seconda categoria. Ma la verità è che non esiste nulla di più poetico e visionario, nulla di più radicale, sovversivo e psichedelico della matematica. La matematica non è meno stupefacente della cosmologia o della fisica (i matematici hanno concepito i buchi neri ben prima che gli astronomi ne scoprissero uno) e offre una maggiore libertà espressiva rispetto alla poesia, all'arte o alla musica (che dipendono fortemente dalle proprietà dell'universo fisico). La matematica è la più pura delle arti, e la più fraintesa. Permettetemi dunque di tentare di spiegarvi cos'è davvero la matematica e cosa fanno i matematici. Il modo migliore per cominciare è citare l’eccellente descrizione che ne dà G.H. Hardy: “Il matematico, come il pittore e il
poeta, è un creatore di forme. Se le forme che crea sono più durature delle loro, è perché sono fatte d’idee.”[1] Dunque, i matematici passano il tempo creando forme fatte d’idee. Che genere d’idee? Idee sui rinoceronti? No, quelle lasciamole ai biologi. Idee sul linguaggio e la cultura? No, almeno non di solito. Cose di questo genere sono decisamente troppo complicate per il gusto della maggior parte dei matematici. Se mai esiste un principio estetico unificante in matematica, è questo: semplice è bello. Ai matematici piace pensare le cose più semplici possibili, e le cose più semplici possibili sono immaginarie. Per esempio, se ho voglia di pensare a delle figure geometriche - e mi capita spesso - potrei immaginare un triangolo all'interno del riquadro rettangolare: Mi chiedo quanta parte del rettangolo occupi il triangolo; due terzi, forse? Quel che è importante comprendere è che non sto parlando di questo particolare disegno di un triangolo dentro un rettangolo. Né sto parlando di un triangolo di metallo che fa parte del sistema di travi di un ponte. Non c'è alcun fine recondito di tipo pratico in ciò che immagino. Sto semplicemente giocando. La matematica non è che questo: porsi domande, giocare, trastullarsi con la propria immaginazione. Tanto per cominciare, chiedersi quanta parte del rettangolo occupi il triangolo non ha nemmeno senso per gli oggetti fisici, reali. Anche il triangolo materiale realizzato con il massimo della cura rimane sempre un insieme irrimediabilmente complicato di atomi che si agitano, cambiando continuamente forma. A meno che non si voglia parlare di misurazioni approssimate di un qualche tipo. Ed è proprio qui che interviene l'estetica, perché quel problema non è semplice, anzi, è un problema complesso che dipende da una serie di variabili e dettagli connessi con il mondo reale. Lasciamolo agli scienziati. Il problema matematico riguarda invece un triangolo immaginario all'interno di un rettangolo immaginario. I bordi sono perfetti perché io voglio che lo siano; ed è questo il tipo di oggetti ai quali preferisco pensare. È un tema importante, in matematica: le cose sono ciò che desideriamo siano. Le scelte a nostra disposizione sono infinite, non esiste alcuna realtà a intralciarci. D’altra parte, una volta che abbiamo compiuto le nostre scelte (per esempio, io potrei decidere di creare il mio triangolo simmetrico oppure no), allora le nostre nuove creazioni fanno quello che devono, che ci piaccia o no. È questo l'aspetto sorprendente della creazione di forme immaginarie: rispondono perfettamente! Il triangolo occupa una certa porzione del rettangolo in cui è inscritto, io non ho alcun controllo sull’entità di quella porzione! C'è un numero che collega le due forme, forse due terzi , forse no, non so ancora quale sia. Devo scoprirlo. Perciò possiamo giocare e immaginare tutto ciò che vogliamo, creare forme e porci domande su di esse. Ma come rispondiamo a queste domande? Non certo come fa la scienza. Non esistono esperimenti da compiere con provette e strumenti, o con qualcosa che dirà la verità su una creazione dell'immaginazione. L'unico modo per raggiungere la verità sulla nostra immaginazione è usare la nostra immaginazione, ed è faticoso. Nel caso del triangolo dentro il suo rettangolo, riesco a vedere qualcosa di semplice e bello: Se divido il rettangolo in due parti in questo modo, mi rendo conto che ciascuna di esse risulta tagliata diagonalmente a metà da uno dei lati del triangolo. Dunque, lo spazio che sta all'interno del triangolo è uguale a quello che sta al suo esterno. Ciò significa che il triangolo deve occupare esattamente metà del rettangolo! Ecco com’è fare matematica. Questo è solo un piccolo esempio di ciò in cui consiste l'arte del matematico: porsi domande semplici ed eleganti su creazioni immaginarie ed elaborare spiegazioni soddisfacenti e belle. Non esiste nulla che assomigli lontanamente a questo regno delle idee pure: è affascinante, è divertente ed è libero! Ma da dove mi è venuta quell'idea? Come facevo a sapere dove tracciare quella linea? Come fa un pittore a sapere dove appoggiare il suo pennello? Ispirazione, esperienza, tentativi ed errori, mera fortuna. Sta in questo, l'arte della matematica: nel creare queste piccole, stupende poesie del pensiero, questi sonetti di pura ragione. È una forma d'arte che possiede una meravigliosa capacità di trasformazione. Il rapporto fra il triangolo e rettangolo era un mistero, e poi quell'unica linea l'ha reso palese. Non riuscivo a scorgere quel rapporto; poi, d'un tratto, ho potuto vederlo. In qualche modo, sono stato in grado di creare qualcosa di bello e profondo dal nulla e, nel farlo, di cambiare me stesso. Non è in questo che consiste l'arte?
|
[1]
G.H. Hardy, Apologia di un matematico,
trad. it. di Luisa Saraval, Garzanti, Milano 1989, pp. 66-67
La
stessa richiesta l’ho rivolta agli amici Massimo Ragadini e Grazia Betti,
marito e moglie, entrambi fisici e insegnanti, genitori di una studentessa
della Facoltà di Matematica a Pisa, Gemma. Massimo, ragionando con Grazia, ha
suggerito l’identità
di Eulero. Grazia si è impegnata a fornirmi le
indicazioni per apprezzare la bellezza di questa formula. La bellezza, per i
matematici, è qualcosa di paragonabile alla Musica e alla Poesia, come Miroslav
ha intuito. I matematici cosiderano il loro lavoro come una forma d'arte o
almeno un'attività creativa.
«Perché
i numeri sono belli? È come chiedere perché la Nona Sinfonia di
Beethoven sia bella. Se tu non capisci il perché, non te lo può dire
qualcun altro. Io so che i numeri sono belli. Se non fossero belli niente lo
sarebbe», Questa domanda e questa risposta sono di Paul Erdős,
un matematico ungherese che così ragionava sull’ineffabilità della matematica.
Paul Dirac,
un fisico britannico, concordava con il mio amico Massimo nell’attribuire la
bellezza a quei risultati matematici che stabiliscono connessioni tra due aree
della matematica che a prima vista non appaiono correlate. I risultati che
riescono a fare questo vengono definiti profondi.
Cercherò
di spiegare perché l’identità di Eulero può essere l’emblema della Bellezza.
eiπ + 1 = 0
E’
il caso particolare della Formula
di Eulero quando x
è posto uguale a pi greco (π).
La
Formula di Eulero, infatti, è questa: eix = cos x + i sen x
Ricordo,
infatti, che cos π =
- 1 e
che sen
π = 0
Sostituendo,
si ha eiπ = -1 + 0 che è l’identità
di Eulero.
Tale
formula è affascinante perché mette in relazione tra loro cinque simboli che
sono alla base dell'analisi matematica: e, i, π,
1
e 0.
A
parte il bellissimo numero 0,
che rimanda al Nulla, uno dei concetti più profondi e incomprensibili del
pensiero scientifico, c’è il numero 1,
la base di tutti i numeri interi, la frazione più completa, il simbolo
dell’UNO, alla cui completezza tutti tendiamo, noi che siamo divisi o
incompleti.
Per
quanto riguarda gli altri tre simboli, i numeri π ed e sono
numeri trascendenti.
I
numeri trascendenti, la cui esistenza fu dimostrata da Cantor, sono numeri
reali non algebrici, cioè numeri
che non soddisfano nessuna equazione algebrica (per intenderci, un polinomio di
grado n uguagliato a zero).
Tali numeri si dicono trascendenti perché, come disse Eulero, “trascendono il
potere dei metodi algebrici”.
Del
numero e (noto
anche come numero di Eulero) si possono
dare diverse definizioni, che si basano sul concetto di limite, che ben ricordo.
Il
numero e è il limite cui
tende, al crescere di n (meglio, al tendere di n all'infinito) la
seguente successione numerica:
( 1 + 1/n)n
dove n è un numero naturale (intero: 1, 2, 3,
…)
Provate
con la calcolatrice a sostituire a n
un numero grande quanto volete, e otterrete un numero “vicino” a e, tanto più quanto sarà grande n.
Il
numero e ha infinite cifre decimali e non è
periodico, le prime cifre sono: 2,7182818...
Il
numero π è un numero
irrazionale che non può essere ricavato dalla divisione di due numeri interi.
E’, come
sapete, il rapporto tra la lunghezza di
una circonferenza e il suo diametro. Anche questo numero si può vedere come
limite: considera un poligono regolare di n lati inscritto in una circonferenza di raggio uguale a 1, e un altro poligono regolare di n lati circoscritto alla stessa; il perimetro dei
suddetti poligoni tende, al tendere all'infinito del numero di lati, a 2π.
In
altre parole, la lunghezza della circonferenza di raggio unitario si può
approssimare (con precisione tanto più grande quanto più è grande il numero di
lati dei poligoni inscritti e circoscritti a essa), al perimetro di tali
poligoni.
Infine,
per arrivare ad i , è l'unità immaginaria, cioè, per definizione, i2 = -1. Tale numero è alla base dei numeri complessi, la cui introduzione fa sì che qualunque equazione
polinomiale abbia sempre soluzione.
Grazia Betti, a noi che ci chiediamo il senso di questa formula, risponde come fece Benjamin Peirce, matematico professore di Harvard del XIX secolo che, dopo aver spiegato agli studenti l’identità, disse:
“Signori, posso dirlo con certezza, è
assolutamente paradossale, non possiamo capirla, e non sappiamo che cosa
significa. Ma l’abbiamo dimostrata, e quindi sappiamo che deve essere la
verità.”
I
numeri trascendenti ci fanno pensare a ciò che pensiamo lo sia. Ciò che va
oltre il TUTTO, che trascende l’Essere.
Un
pensiero complesso che porta al paradosso del pensiero, all’ASSURDO,
all’irrazionale.
Assurda
folle Bellezza che è in tutte le cose esistenti, per chi la sa percepire come
una musica, come una poesia.
Nel
suo senso più profondo, la bellezza genera un senso di riflessione benevola sul
significato
della propria esistenza dentro il
mondo naturale.
Una Magia che ci dà Gioia e Gratitudine.
Commenti
Posta un commento