La Spezia, west coast - 150 anni senza mare


...ed un futuro da ricostruire.

- William Domenichini -

Prima domanda: La Spezia è una città di mare? Stante la possibilità di accedervi, il legame tra l'economia cittadina e questo elemento naturale, il legame tra la città e il mare è assai scarso, ai limiti dell'esistente. Inutile sottolineare come le scelte passate abbiano influito enormemente nell'assottigliare questo legame (porto, arsenale, aree militari, Snam). Assai più interessante è porsi la questione di come controvertire​ questo stato reale di cose.​

Per riappropriarsi di un'anima perduta non basta certo una stazione crocieristica​ che vomita migliaia di cavallette, ad intervalli di mezza giornata, a Lerici, Portovenere o alle Cinque Terre. Non basta nemmeno tentare di recuperare piccoli pezzi di un mosaico, nell'intento di accontentare qualche pugno di voti. Per ricostruire una socialità spezzina ed un'economia locale che abbia con il mare un rapporto sostenibile non basta certo riappropriarsi di qualche lembo di territorio o aprire una finestra con vista sul golfo.
Ci troviamo innanzi una situazione complessa alla quale occorrono risposte articolate, partendo da un'analisi che abbia degli elementi valoriali solidi.

Se la costa di levante fa i conti con le pile di container, quella di ponente ha, nella maggior parte dei casi, i conti aperti con ciò che resta dei recinti spinati sormontati da cartelli arrugginiti: area militare, sorveglianza armata. La Marina Militare è un elemento che in parte ha contribuito allo sviluppo della città, ma che in forza ad un esproprio che dura da oltre un secolo e mezzo l'ha privata di molto. Ecco la seconda domanda: cosa si sorveglia?
La lista passa da capannoni in eternit abbandonati, inutilizzati, fatiscenti, a zone di totale abbandono utilizzate come cimiteri di bettoline o di mezzi di vario genere, fino ad una vera e propria discarica, dichiaratamente abusiva come il campo in ferro, dove, carte della Procura alla mano, vi è sepolta ogni sorta di rifiuti tossici. Dunque il primo punto. Ogni ipotesi di riappropriazione degli spazi che conducono a mare, nel lato a ponente dei Poeti, passa necessariamente per la bonifica di quelle aree, tradotto: rimozione di tutto ciò che la Marina militare ha accumulato di nocivo all'ombra del muro che la separa dal resto della città. Quale sentimento può pervadere, se non una profonda indignazione, nel sentire decantare la bellezza dei nostri luoghi da una classe politica che sale su un palco che sorge prospiciente il campo in ferro?

Non possiamo non tener conto del fatto che l'Arsenale spezzino ha una dimensione enorme, ragion per cui, punto secondo, la sua eventuale riconversione sarebbe un processo articolato ed assai complesso. Potrebbe tale processo essere in capo ad un soggetto unico? Un sindaco, per esempio? Ad una domanda retorica simile occorre rispondere con un metodo, che è prioritario rispetto al contenuto ed alla forma di un'eventuale​ (o meglio, auspicabile) trasformazione delle aree militari. Il metodo è quello della partecipazione, di un dibattito pubblico che dia la possibilità di audire e di tener conto delle osservazioni, delle critiche e delle proposte che spingono dal basso, in modo da tracciare una linea condivisa, sulla base di una visione.

Quale visione? Il nostro percorso qui trova una sorta di buco nero. Chi in città ha prodotto in questi anni una visione? Proviamo a dare una traccia, nella quale si possa immaginare come un'enorme spazio come quello arsenalizio, repetita iuvant, bonificato dai veleni, in cui si fondi una nuova idea di città, in relazione al suo rapporto, ad oggi mancante, con il mare. Gli spazi che sarebbero a disposizione potrebbero facilmente andare incontro a molteplici esigenze: quelli dello sviluppo dell'economia del mare, a partire dalle mitilicolture e della pesca, passando per tutto ciò che ha a che fare con la cantieristica. Chiaramente ogni opportunità produttiva dovrebbe avere come unico vincolo quello di un insediamento​ ambientalmente​ compatibile con le comunità limitrofe, in altre parole non nocivo. In questo processo si dovrebbe necessariamente pensare a come far riacquistare spazi a mare a una comunità come quella marolina, privata dell'elemento di continuità​ con il suo mare ben 150 anni fa. Questo aspetto necessita di un'analisi attenta, perchè se Marola e gran parte delle borgate del ponente si stanno lentamente trasformando in borghi ricettivi, stracolmi di case vacanze, B&B ed affini, ogni operazione​ urbanistica dovrebbe​ puntare non solo a riqualificare e ricostruire un rapporto​ tra comunità e mare, ma a cercare di controvertire​ la tendenza mercificatoria dello stato edificatorio e guardare alle esigenze abitative in senso stretto, cercando di dare una spinta alla ricostruzione di un tessuto sociale ormai sfilacciato.
Un elemento che raramente viene affrontato sulla costa di ponente riguarda la mobilità, sia negli aspetti legati alla sua sicurezza sia sotto il profilo della sostenibilità, eppure, ciò nonostante, oggi raggiungere Portovenere può diventare un'impresa con un mezzo privato. Pare che nessuno si ponga i termini di questa problematica, da qui l'esigenza di guardare alla città in un'ottica urbanistica complessiva.

Non si tratta solo di strumenti da adottare, questi sono tecnicismi sui quali si trova sempre una soluzione, ma si tratta di comprendere innanzitutto il come di un processo che non ci veda accontentarci di un piatto di lenticchie o di un posto barca,, ma che punti a disegnare un futuro che sia degno di tale nome per una città che da tempo ha perduto la capacità di sognare concretamente.

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