BOLOGNA-PAOLA


Paolo Luporini

Bologna Centrale, partenza 1:51 - cambio Roma Termini, arrivo 6:35 (4 h 44 m)

 

Roma Termini, 7:26 – Paola, 12:32 (5 h 6 m)

91 € (10 h 41 m)

 

Questo c’era scritto sui biglietti Trenitalia sullo smartphone di Kelvin, che, ripassando gli orari e soppesando la durata totale del viaggio e delle tratte parziali, meditava sul panorama che lo avrebbe accolto all’arrivo, all’ora di pranzo. Ricercò, seduto al suo posto sul treno, al numero 16a della carrozza 6, un ristorante tipico calabrese che avesse piatti di mare, per calarsi da subito nella gastronomia locale. Mancavano tre minuti all’orario della partenza e piombò di fronte a lui un tipo con vestito intero di cotone misto lino color antracite. Con gesti affaccendati, sistemò un piccolo trolley nel corridoio, a fianco della poltroncina, e una borsa di pelle con due ganci davanti a sé, sul tavolino diviso in due parti pieghevoli. Tutto senza salutare.

Kelvin aspettò il gesto del nuovo arrivato di un cenno che non arrivò ma, quando il tipo si rassettò la camicia, la cravatta e sbottonò la giacca, gli disse: “Buongiorno… “.

“B-uon…giorno!”, rispose.

Silenzio, con gli occhi rivolti al finestrino e poi a controllare lo spazio interno della carrozza della Frecciarossa. Sbadiglio senza mano davanti: “Mi scusi, ero sovrappensiero.”

“Orario notturno, per partire… “

“Il fatto è che vengo da Milano Centrale, pochi minuti per la coincidenza, per un ritardo di dieci minuti almeno. Devo essere presente in Senato alla seduta di domattina. C’è una votazione importante. Sono tutte importanti, questa di più. Sono senatore, Lega per Salvini.”

“Capisco.”

“Ho iniziato dal mondo del lavoro, ero un operaio alla Breda ed ero delegato della FIOM, ero pure iscritto alla cellula del PCI. Sono del ’59, sono rimasto alla Breda sinché chiuse, nel 1992. Ma sono passato nel 1990 al SAL (Sindacato Autonomista Lombardo) con Antonio Magri e Rosi Mauro, che proveniva dalla UIL. Poi nel Sin. Pa. (Sindacato Padano), sino al congresso del 2012, e poi funzionario Lega Nord eletto consigliere in un comune in provincia di Milano, eletto infine al Senato della Repubblica alle elezioni politiche del 4 marzo 2018. Temo che con la riduzione dei seggi non verrò ricandidato. Un altro mi passerà avanti, ed è un vero peccato, anche se ho maturato il periodo per assicurarmi la pensione da parlamentare. Ho fatto, credo di aver fatto, un buon lavoro, almeno discreto, per portare qualcosa di buono ai lombardi, ai miei elettori, che mi chiedono molti favori. Si devono ascoltare tutti, anche quelli che non ti hanno votato, ma con un telefonino in cabina, l’elettore che ti vuol fregare non scappa!. Gli scrutatori non controllano mai. È snervante dar retta a tutti, ma il mio scagnozzo, il portaborse, registra le richieste e molti me li sbriga così, poi mi ricorda l’agenda e le telefonate di raccomandazione da fare. Modestamente, ho una certa influenza! Le dispiace se mi tolgo la mascherina? Non la sopporto… e poi è inutile!”

“Qui, come su tutti i trasporti, è obbligatoria per decreto, lei che è senatore dovrebbe saperlo!”

“Io so benissimo la legge, mi astenni dall’approvare la convalida di quel decreto. Io ho chiesto a lei se a Lei dà fastidio se me la tolgo!”

“Se la mette in questo modo, io preferisco che la tenga indossata correttamente per tutto il viaggio.”

“Mille grazie, lei è molto gentile”, e si toglie la mascherina e la infila nella borsa, alla faccia di un possibile controllo. Sa che presentando il tesserino del Senato il controllore tacerà e lo saluterà con riverenza.

Poi chiede a Kelvin: “Lei dove scende, scusi?”.

“Vado in vacanza in Calabria, ci salutiamo alla stazione di Roma Termini. Dobbiamo condividere questi due posti vicini, uno di fronte all’altro, per almeno quattro ore e quarantaquattro, minuto più, minuto meno!”

“Mi pare incazzatello…! Le sono molesto?”

“No, scandaloso! È uno che le leggi le fa, ma non le rispetta. Lei è una persona indecente e sono contento che non la ricandidino, perché con queste qualità i suoi elettori la rivoterebbero certamente!”

“Uh! E chi sarebbe, lei, per parlarmi così?”

“Non sono nessuno, sono uno che desidera non essere nessuno, non come qualcuno che desidera essere Qualcuno!”

“Ma cosa fa, nella vita, da dove viene? Che cazzo di storia ha, con chi se la fa? È una zecca rossa? Glielo chiede uno che è scappato dal PCI.”

“Non credo che lei sia disposto ad ascoltare la mia storia, allo stesso modo in cui non è interessato alle storie dei molti questuanti che vengono ad elemosinarle favori e lei li considera delle “pratiche” del suo miserrimo ufficio. Io non le chiedo niente, non voglio niente da lei, perché mi dovrei raccontare a lei?”

“No, sono interessato, mi parli di lei, l’ascolto, così mi aiuta a prendere sonno… “

“Lei, in cambio di storie tristi, di favori che le costano uno scatto telefonico, esige un voto comprovato da uno scatto fotografico: prima la foto, poi il favore (forse!), non è neppure obbligato a risolvere il grande problema del suo forzato elettore, può facilmente trovare delle scuse, parlandogli in politichese, con una supercazzola senatoriale. Io la mia storia gliela regalo, come dono per la fine della sua carriera da senatore, che spero anticipata! Ne resterà sconvolto, come sempre sconvolge me se la racconto o se la ripenso (spessissimo) e piango.”

“Non vedrà certo piangere me. Ho fatto tre anni di militare a Cuneo…, come diceva Totò!”.

“Non piangerà, ma rimpiangerà, dopo, di non aver ceduto alle emozioni della mia storia. Glielo prometto.”

“È forse una minaccia?!?”

“Niente di tutto questo. Glielo prevedo. Il mio racconto l’assalirà in un momento in cui non se l’aspetta, e proverà la compassione che aridamente non ha mai provato.”

Kelvin si mette gl’indici sulle tempie, poi una mano sul cuore, deglutisce, e inizia a raccontare...

 

Parla Kelvin.

“Ero un bambino normale e felice, avevo molti giocattoli e una mamma e un papà che mi volevano un bene da morire. Stavo bene con gli amichetti dell’asilo e della scuola, anche compagni di giochi. Io ospitavo loro, a volte io andavo a casa ora di uno, ora di un altro. Al mio compleanno degli otto anni, a scuola, la maestra mi chiese: “Ma non ti hanno mai detto che sei stato adottato?”

 

Io restai muto e m’immersi nel gruppo di amici che stavano giocando alla pentolaccia. Chiesi di essere bendato e, così, lasciai sgorgare le lacrime che bagnarono la benda. Con il bastone che mi misero in mano menai colpi con rabbia e, spinto dagli altri verso la pentolaccia per evitare che colpissi gli altri bambini, la mandai in pezzi e mi piovve addosso il contenuto di caramelle, cioccolatini, lecca-lecca, liquirizie, dolcetti e torroncini. Un altro si sarebbe subito sbendato e avrebbe esultato tuffandosi a terra per accaparrarsi quanto più tesoro fosse riuscito a catturare nella maglietta, mentre gli altri cercavano di fare lo stesso. Io rimasi con quel bastone in mano, alzato, e avrei voluto abbatterlo sugli altri bambini che, bendato, percepivo sotto di me. Avrei voluto punirli di avere, loro, una mamma e un papà vero, che io non avevo? Quante domande avrei voluto fare, immediatamente, al mio papà adottivo e soprattutto a quella donna che mi aveva ingannato con il suo affetto, facendomi credere di essere figlio suo.

Questo confronto avvenne la sera stessa, quando riferii quella crudele domanda della maestra. Mia mamma, quella che avevo creduto lo fosse, era inginocchiata e manteneva un contatto con me con le braccia tese senza forzarmi in un abbraccio che volevo rifiutare. Non ne fece il tentativo. Il mio papà adottivo era in piedi dietro di me, anche lui avrebbe voluto abbracciarmi stretto e baciarmi la nuca, ma non lo fece, partecipando emotivamente a quello che stava avvenendo tra me e “la mamma”. Io le chiesi: «Ma se non sei mia mamma, chi sei?»

«Sono tua zia.»

 

Rimasi muto e sorpreso e l’invocai con gli occhi di andare avanti, di spiegarsi.

Lei, in imbarazzo e dubbiosa se dirmi subito la verità, si decise:

«Tua mamma, quella vera, si chiamava Maria, ed era mia sorella. Lei e il tuo vero papà ti desiderarono molto, ma la gravidanza fu rischiosa. Quando ti diede alla luce, lei non sopravvisse e non ebbe neppure la gioia di vederti, sano e bello com’eri. (Si commosse) Tuo padre fu stravolto dalla morte della moglie e, dispiace dirlo, non volle vederti, chissà quali tremendi pensieri lo assalirono e per un mese rimase inerte in casa, in lutto strettissimo, rasentando la pazzia. Ma tu c’eri, e qualcuno doveva occuparsi di te. Lo feci io, che ti nutrii artificialmente, ero la zia materna, volevo molto bene alla tua mamma, la mia sorella di poco più grande. Il dolore per la sua grande perdita fu enorme, ma, differentemente da tuo papà, trovai la forza per lasciarti sopravvivere. Accettai in tutto e per tutto il ruolo di madre e ti adottai anche legalmente. Più tardi, pur non volendoti mai vedere, il tuo papà ti registrò con il suo cognome e così per un certo periodo tu avesti come primo cognome quello di tuo papà, com’era giusto, e il mio, che poi era lo stesso di tua mamma. Erano anni difficili per il nostro paese, Trujillo era scomparso, forse ammazzato, ma non si seppe mai se furono dei tirannicidi oppure i suoi stessi uomini o sicari della CIA. Trujillo era un dittatore feroce e onnipotente, che aveva appetiti esagerati sia nella corruzione sia per la morbosità del possesso dei suoi sudditi, che gli erano crudelmente sottoposti. Ogni sua voglia, pure sulle donne sposate o molto giovani, doveva essere esaudita e gli sposi o i familiari non potevano fare nulla. Era sua abitudine, quando le donne di una casa gli interessavano, di far apporre una targa alla parete di entrata della casa, che diceva: “Esta casa es del Jefe” (Questa casa è del Capo).

Nessuno poteva interferire e lui poteva tutto. Anche il suo "jus primae noctis", e queste erano le sue parole allo sposo: "La tua sposa mi piace, prima ci vado io, poi te la sposi tu!".

Io dormii spesso nella stessa stanza della più piccola delle sorelle Mirabal, che tu non sai chi erano. Sì, sono morte in tre, erano bellissime, quando le ritrovarono nella loro auto con i segni delle bastonate che le avevano ammazzate, il popolo diede loro il bellissimo soprannome de “Las Mariposas”, le farfalle, che era il loro nome in codice nella resistenza antitrujillista. Tutti parlavano delle sorelle Mirabal, donne fiere che non si piegarono al dittatore. Furono assassinate il 25 novembre 1960 mentre stavano andando al carcere in visita ai mariti, trattenuti al loro posto dopo che anche loro tre erano state torturate per giorni. La data del 25 novembre, ogni anno, è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Noi, con i Mirabal, facevamo parte delle quattro famiglie della Provincia di Salcedo, e, poiché eravamo amici stretti dei Mirabal, ci dovemmo spostare da lì e perciò, alcuni anni dopo la morte di Trujillo, poiché eravamo ugualmente in pericolo con il passaggio del potere a Balaguer ed erano sempre anni tesi in cui una donna non era libera come io desideravo essere, io emigrai in Grecia, dove conobbi mio marito, che ti diede pure lui il suo cognome, adottandoti come avevo fatto prima io. Noi siamo la tua famiglia, non siamo i tuoi genitori, ma ti abbiamo scelto e tu ci fai felici. La tua famiglia è questa. Sei stato felice con noi, lo saremo sempre, sinché saremo uniti.»

 

“Questo discorso, mia zia, che io chiamo sempre mamma, me lo fece in Italia, seguendo il mio papà adottivo italiano che lei aveva conosciuto in Grecia. Seppi che il mio vero papà si era in parte ripreso, era tornato attivo nel lavoro e viveva una condizione agiata, ma non voleva saperne di me, perché mi dava la colpa di aver causato, con la mia venuta al mondo, la morte della sua adorata moglie. Era un’accusa orribile e ingiusta ma per lui era una condanna a vita nei miei confronti. Mio padre mi odiava, e io, che ora sapevo, e gli altri sapevano che sapevo, non volevo mai parlare di tutto questo, perché mi sentivo addosso questa terribile colpa, che era alimentata dalla nonna paterna, dalla nonna materna e dalla sorella maggiore. Mi convinsi che avevo ucciso mia mamma e che sarebbe stato meglio che fossi morto io e che lei fosse ancora viva per avere altri bambini non cattivi come me. Furono pensieri che s’ingigantivano non parlandone mai e, se qualcuno lo faceva, scappavo con la mente e non ascoltavo. Quel tipo di dolore e di colpa non l’ho ancora superato, anche se razionalmente li vedo assurdi, ma spesso, nella solitudine, ripenso a quelle forti emozioni e sentimenti di rabbia verso me stesso da cui cercavo di evadere con mille trucchi, tanto erano opprimenti. Ora che sono adulto, ho saputo crearmi una famiglia cercando l’amicizia di adulti molto più grandi di me, che anche loro, a loro modo, mi hanno adottato. Questi due “maggiori”, con cui condivido tutto, sarebbero disposti a molti sacrifici per me, un esempio vale per entrambi: quando io, più giovane, andavo in discoteca, uno di loro mi accompagnava e restava anche tutta la notte in macchina, nel parcheggio, sino a quando decidevo di tornare a casa. Ogni tanto visito mia mamma, che vive in un’altra città, ma le telefono tutte le volte che desidero, più volte al giorno. È la mamma, la confidente, un cuore in cui mettere i problemi, e dalla sua voce escono le soluzioni.”

 

Come aveva promesso, il leghista si era addormentato, con la testa appoggiata a un lato della spalliera, la cravatta allentata, le scarpe sfilate.

Arrivato a Roma, Kelvin scese dal treno senza svegliare “il Senatore”. Si fece portare in un albergo da un taxi, dormì due ore, pagò la stanza e prese il primo treno verso nord della linea tirrenica, rinunciando alla vacanza a Paola, una Calabria troppo lontana per sopportare di ripetere un nuovo racconto.

 

Il giorno del viaggio: 19 luglio 2022.

 

Cronaca della seduta al Senato del 21 luglio:

https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2022/07/20/la-crisi-di-governo-dal-senato-fiducia-a-draghi-con-95-si.-il-premier-annuncera-le-dimissioni-alla-camera_20b10df7-5fc0-45b2-a1a7-0ba87fe5153c.html

 

In due parole: Il Movimento 5 Stelle, con a Capo il segretario Giuseppe Conte, non accettò di votare a favore nel voto di fiducia al governo di coalizione di Mario Draghi che proponeva spese in comparti che il M5S considera dannosi per l’ambiente e onerosi per il costo degli investimenti, i termovalorizzatori. La Lega per Salvini e Forza Italia di Berlusconi, che invece erano d’accordo e dicevano a parole di voler sostenere il governo Draghi, a tradimento scelsero per convenienza di sfiduciare il governo votandogli contro e provocando il Presidente Sergio Mattarella a sciogliere le camere dopo le doverose dimissioni del Presidente del Consiglio, che ora deve gestire le pratiche correnti in tempi di pandemia, guerra e sanzioni, con prospettive per il paese di poter cadere nuovamente nelle mani del centrodestra in cui la componente di Fratelli d’Italia è la favorita e maggiormente aggressiva, con programmi devastanti per il quadro istituzionale volendo cambiare la Costituzione senza neppure un referendum popolare confermativo. Le altre proposte sono deliranti e senza coperture finanziarie e la rinegoziazione del PNRR con l’Europa porterebbe un nuovo disastro.

Grazie e Auguri!





La data del 25 novembre, ogni anno, è la Giornata internazionale 
per l'eliminazione della violenza contro le donne. 
TUTTE/I IN PIAZZA!


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LA PIGRA BABY-SITTER, in vendita su Amazon.it e nelle librerie spezzine RICCI, il contrappunto, LIBeRItutti, LA SCOLASTICA. 

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