LE PAURE DEGLI "ANSALDINI"
Paolo Luporini
11 marzo 2024
La testimonianza-memoria di Dino Grassi, storico operaio dell’Ansaldo del Muggiano, desumibile dal libro “Io sono un operaio” curato da Giorgio Pagano, racconta che prima della II Guerra Mondiale gli “ansaldini” spezzini temevano che gli operai pendolari massesi gli portassero via il lavoro, mettendosi in concorrenza con loro. Quando Mussolini fece entrare l’Italia in guerra schierandosi con la Germania invadendo la Francia, con poco successo, la possibilità di un richiamo alle armi, cosa abbastanza remota perché il cantiere si trasformò in importante industria bellica, l’ingresso di qualche operaia creò qualche timore ma senza proteste. L’Ansaldo fu poi una fabbrica in cui ci fu una fermata, uno sciopero coraggioso in cui le camicie nere furono impegnate in una caccia all’uomo all’interno del cantiere per arrestare gli operai che avevano incrociato le braccia. Gli arresti portarono alla deportazione e alla morte nel lager di Mauthausen. Se ne salvò solo uno, dei sette politici detenuti. Nel dopoguerra analoghi timori espressi per i massesi e le donne si manifestarono verso gli immigrati meridionali. Erano italiani che lasciavano tutto, partivano dal Sud e avevano bisogno di case, dovevano farsi seguire dalle famiglie, i figli dovevano integrarsi con i compagni. Anche loro subivano umiliazioni, discriminazioni. Nei licenziamenti degli anni cinquanta gli operai più schierati, i comunisti, furono epurati in una caccia alle streghe democristiana tesa a limitare il ‘pericolo rosso’. Siamo ai giorni nostri, e un fenomeno di nuove immigrazioni intercontinentali si fa sentire in Ansaldo, diventata Fincantieri, con i sentimenti di sospetto e fastidio molto simili a quelli provati dai colleghi del passato. Non è fantascienza ipotizzare un intervento robotico più marcato pure nella cantieristica. Ho immaginato robot come androidi meccanici robusti, insensibili alle temperature e ai miasmi delle saldature all’interno del corpo di una nave in costruzione o in riparazione, dove possono esserci sostanze infiammabili dalle emissioni gassose sgradevoli per un uomo, alle quali i robot sarebbero indifferenti. Programmatrici-donne, esperte di Intelligenza Artificiale, li guiderebbero e si occuperebbero della loro manutenzione ordinaria. Anche nei loro confronti il fastidio potrebbe esprimersi, e in che forme? Uno scenario distopico lascerebbe grande spazio a un’immaginazione fervida. Il sabotaggio luddistico potrebbe ripetersi, ma la sorveglianza si avvarrebbe di tecnologie di controllo che non lascerebbero scampo ai potenziali sabotatori, che sarebbero resi inefficaci molto prima che possano entrare in azione. Non è difficile pensare che il sentimento di appartenenza alla classe operaia, nel contesto presente e futuro, sia e possa essere già molto compromesso. Altrettanto il lavoro umano. Ci si può fare qualcosa? Lo si faccia presto, che presto o tardi questo scenario potrebbe attuarsi. Meglio presto che tardi. O saremo tutti spacciati!
Commenti
Posta un commento