LA DONNA DI CUORI


Paolo Luporini

Inizio un racconto che nelle mie intenzioni dovrebbe diventare un esempio di come un sogno notturno può portare un soggetto originale semplice che l’autore può sviluppare e arricchire di contenuti magari alti mantenendosi distaccato dal didascalico e dal pedagogico, sempre con uno stile asciutto che va al sodo, senza troppi fronzoli o fiori di descrizioni particolareggiate. Per scrivere questo racconto ho aspettato tre giorni dal sogno sia perché sono giornate in cui sono sempre un po’ troppo stanco per iniziare alcunché di nuovo che non sia una necessità immediata, sia per non scriverlo di getto ma per prepararlo invece con un po’ di meditazione. Sono le cinque del mattino e parto.

Il personaggio sono io stesso in una vita precedente. Ero un prestigiatore e mi esibivo nei circhi che vagavano nomadi su, giù, da ovest a est e da est a ovest negli Stati Uniti d’America pochi anni dopo la fine della II Guerra Mondiale, un po’ prima che scoppiasse la Guerra di Corea. Si era, insomma, nel gennaio del 1949 e la Guerra Fredda era iniziata con il Blocco di Berlino nel ’48 e gli americani vi avevano reagito con un ponte aereo per mantenere le comunicazioni con la zona di Berlino Ovest. L’Unione sovietica e la Cina Popolare stavano dando l’assenso all’invasione da parte della Corea del Nord, comunista, di parte della Corea del Sud, sostenuta dagli americani. L’invasione ci fu nel 1950 e gli USA vi si opposero schierandosi sotto al 38° parallelo al comando del generale Mac Arthur. Internamente, la Guerra Fredda non aveva ancora portato agli estremi del maccartismo né alle accuse di spionaggio che si abbatterono poi su molti come sui coniugi Rosenberg, sul cui caso gli americani si divisero tra colpevolisti e innocentisti. Il clima di caccia alle streghe ebbe fine con le dimissioni di McCarthy dalla Commissione per la repressione delle attività antiamericane perché il senatore si era spinto ad attaccare alcuni gradi dello stesso esercito.
L’eco della vittoria sul Giappone con l’uso delle due bombe nucleari su Hiroshima e Nagasaki avevano però minato la gioia per la fine della II Guerra Mondiale per il senso di colpa di aver creato un’arma micidiale e di averla impiegata crudelmente in stragi di civili inermi, con emissioni di radiazioni a largo raggio che avevano causato ustioni gravissime e tumori che avevano colpito letalmente dopo poco tempo i sopravvissuti. Sorse un timido movimento antinucleare che comprese così presto i rischi di questa nuova arma che avrebbe potuto causare, con un uso incontrollato, la fine per tutti gi esseri viventi.
Mentre mi documento per continuare nella scrittura del mio soggetto, che ho lasciato all’ambientazione storica e politico-culturale del periodo del piccolo fatto che vorrei raccontare, incontro un’inquietante citazione di Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty: “Gli scienziati dovettero fare migliaia di calcoli per creare la bomba (atomica) e determinarne i possibili effetti. I computer e le bombe atomiche, entrambi un prodotto della Seconda Guerra Mondiale, sono cresciuti insieme.”. Trovo inquietante che in questo momento io stia usando il mio computer, corollario della creazione di quello strumento assoluto di morte, che Piero Calamandrei descriveva così: “Alla fine di dieci anni di martiri, la bomba atomica si affaccia come un simbolo riepilogativo, come la morale di un apologo: basterà che un uomo tocchi un tasto, perché tutti gli uomini, lui compreso, siano cancellati dal mondo.”.  Oddio! Mi viene da pensare che chiunque di noi stia usando un computer, sia per lavoro sia per gioco o per chattare e scrivere post su un social o commentare quello di un altro, ha un’identica enorme responsabilità pigiando un tasto, componendo parole, agendo su un joystick o cliccando su un link con il mouse, e può far molto danno, perché un computer è un meccanismo che ci rende transumani, potenziando di moltissimo il nostro potenziale, che è sia di far molto bene sia di nuocere e arrecare danni. 
Se l’argomento si fa pesante, è bene mitigare con un po’ di leggerezza e arrivare al momento in cui quel prestigiatore, che sarei io nella mia ultima vita prima di rinascere in un altro continente a più di 8000 miglia di distanza, qualche anno dopo la scomparsa di questo girovago che stava recandosi, insieme alla sua compagna (di viaggio e di letto), una trapezista, in una piccola cittadina dispersa nel nulla del Nebraska, uno stato di pianure brulle e aride prima dedite all’allevamento, ma poi convertite all’agricoltura, dove cowboys e contadini dovevano difendersi pure dai frequenti tornado che infestano spesso quelle pianure. Laggiù avrebbero trovato la tenda del circo che li aveva assunti entrambi e si sarebbero esibiti di fronte al pubblico pagante con le carte da poker e con le evoluzioni aeree, molti metri al di sopra della rete. 
Gladys, la trapezista, appena entrata nell’Autogrill che fuori aveva un’enorme ciambella di plastica accanto all’insegna, si precipitò alle toilette, staccandosi da Jack, il me prestigiatore. Io gironzolai tra i tavoli a sei posti in sequenza in un’unica fila dal lato della strada, subito dopo la porta. Molti tavoli erano liberi, ma Jack percorse il corridoio di fronte al lungo bancone con cassiera e inserviente, guardando qui e là, come a perder tempo. Si aspettava che Gladys ne avesse per più di venti minuti, certamente. 
Si avvide così che, in un tavolo da sei, era seduto un bambino di circa otto anni, quasi un ragazzo, completamente solo. Cercò in giro con lo sguardo l’adulto che sicuramente lo accompagnava e, non notando nessuno, gli si sedette di fronte e gli chiese come mai era da solo. 
Il ragazzo, in giacca e cravattino, gli disse: “Non sono solo, viaggio con mia mamma, che ora è alla toilette. Mi chiamo Bill.”. “Io Jack, piacere, sono un prestigiatore del circo.”. “Molto interessante. Mi fai vedere qualche gioco?”. “Vedo che hai le figurine della Major League Baseball, ce l’hai quella di Joe Di Maggio?”. “Ce l’ho sì, pure doppia e tripla.”. “Per me, i New York Yankees quest’anno le vincono loro, le World Series! E sarà così per i prossimi altri quattro anni! Sono troppo forti! I numeri uno!”. “Magari! Tifo per loro.”. “Visto che ci tieni tanto, al tuo Di Maggio, ti propongo di giocartelo in una scommessa con un mio gioco di carte.”. “Non mi vuoi mica fregare?!? Che gioco è? Tu sei un prestigiatore!”. “Non c’è trucco, non c’è inganno! In una mano c’è la Donna di Cuori. La Donna di Cuori vince, il due di picche perde! Ecco la Donna di Cuori, ecco il due di picche! Se indovini dov’è la Donna di Cuori, vinci un quarto di dollaro, se invece in quella mano c’è il due di picche, perdi il tuo Joe Di Maggio!”. Bill calcolò che di figurine ne aveva tre, perciò disse: “Ci sto!”. E Jack: “Guarda bene: in questa mano destra c’è la Donna di Cuori, nella sinistra il due di picche, porto le mani dietro la schiena in modo che tu non possa vedermi mentre le scambio, poi le rimetto sul tavolo e tu scegli. Ecco! Cosa scegli? La Donna di Cuori che è ora nella mano sinistra oppure il due di picche che è nella destra?”. “Non m’imbrogli con le tue parole, se mi dici che la Donna di Cuori è a sinistra, vuoi farmi credere che menti e perciò quella potrebbe stare a destra, ma c’è un doppio inganno, quindi ti dico SINISTRA!”.. Jack apre la mano sinistra: due di picche! Bill, stupefatto, propone di continuare, si giocherà l’altro Joe Di Maggio. Jack: “Vuoi continuare, ci sto. Tu rimarrai con una sola figurina di Joe Di Maggio, perché perderai di nuovo!”. “Tu gioca, per favore! E stai zitto!”. Jack: “Ecco fatto: scegli!”. “SINISTRA!”. 
Senza una parola, Jack apre la mano sinistra e mostra il due di picche. Bill, malfidato: “Apri anche la destra, ora!”. “Fai bene a non fidarti di un prestigiatore, ma io sono con te onesto e leale. Mi offendi a non fidarti di uno come me!”. “Zitto e apri la mano!”, disse Bill non staccandogli un momento gli occhi di dosso. Jack apre la mano destra e spunta la Donna di Cuori. “Visto?!? Pensavi che barassi! È molto giusto non fidarsi degli sconosciuti o di quelli conosciuti appena!”. Bill: “Non stai barando, è un gioco con il 50 per cento di probabilità. Prima o poi dovrò vincerti! Rigiochiamo!”. “Ora non voglio portarti via il tuo prezioso (e unico) esemplare della figurina di Joe Di Maggio, che, come futuro vincitore delle prossime cinque World Series, sino al ’54, sarà la figurina più preziosa dell’album del 1949. Fai un bel mazzetto delle tue scartine, da scommettere contro i due Di Maggio che ti ho portato via… mi correggo: che hai perduto!”. Bill, scegliendo con cura quelle che considerava di minor valore, le mette sul tavolo, a metà distanza tra lui e Jack. “Gioca!”.
“Sinistra o destra, Bill?”. “SINISTRA!”.
Senza aprire subito la mano: “Hai perso di nuovo! Qui, dentro la mia mano sinistra, c’è sempre il due di picche, ce lo lascerò sempre!”. “E tu aprila subito!”. Jack, spillando lentamente le dita, schiude un bruttissimo e perdente due di picche. 
“Mi dispiace, ok quanto mi dispiace! Ora è meglio che tu smetta, oppure ti chiederò di giocarti il tutto per tutto. Sei pronto per il tutto per tutto, giovanotto?”. “Cosa intendi, per Tutto per tutto?”.
“Ti sto proponendo di scommettere tutte le tue figurine, compreso l’ultimo Joe Di Maggio, contro tutte le figurine che ti ho vinto sinora e in più un intero dollaro, anzi DUE!”.
Bill, frastornato dall’offerta dei due dollari, una somma mai avuta per le mani, soppesò il dolore di una possibile sconfitta con la grande, esaltante gioia di una vittoria. 
“Ok! TUTTO PER TUTTO! GIOCA!”. Lo disse quasi urlando, e temeva che la mamma tornasse in quel momento dalla toilette per vederlo perdere tutto in una volta sola l’intero suo patrimonio della Major League Baseball e di tutti i suoi giocatori che avrebbero vinto le World Series, quell’anno e i prossimi quattro.
Jack, a questo punto, aveva deciso di far vincere il ragazzo, che sceglieva pervicacemente la mano sinistra, e passò, con le mani dietro di sé, la Donna di Cuori nella propria mano sinistra, in modo che Bill potesse vincere il TUTTO PER TUTTO.
Con studiata lentezza, per esaltare la suspence di Bill, mise sul tavolo davanti a sé, ancora nascoste, le proprie mani con le carte strette in una morsa enigmatica.
Bill, sorprendentemente: “DESTRA! Apri la tua mano destra, per il TUTTO PER TUTTO!”.
A Jack piangeva il cuore di provocare quella cocente delusione al ragazzo, che era quasi ancora un bambino, nonostante il perfetto cravattino di cuoio, e, sopprimendo una lacrima, aprì la mano destra e anche la sinistra. Bill allungò il viso in una smorfia per la sconfitta bruciante e minacciava di piangere a dirotto in mezzo alla sala. Jack ebbe il suo turno di terrore temendo che sopraggiungessero proprio in quel momento le due donne, di fronte alle quali la successione di tutti i suoi gesti così pieni di buone intenzioni potevano apparire come un gioco molto crudele giocato contro un bambino durante l’assenza della madre.
Prontamente, Jack reagì a questa paura e provò a girare la situazione incresciosa che il destino aveva a loro giocato, parlando a cuore aperto al ragazzo: “Bill, Bill, Bill… Dammi retta, Era mia intenzione lasciarti vincere. Sceglievi caparbiamente sempre la mia mano sinistra… È a quel punto, quando ti sei giocato il TUTTO PER TUTTO, che volevo farti vincere! Mai avrei immaginato che proprio questa volta avresti scelto diversamente. Ho ragionato male. Sono io che ho sbagliato. Sono dispiaciuto più di te di averti fatto provare la terribile sensazione della più totale sconfitta! Accetta le mie scuse sincere e la restituzione di tutto il tuo patrimonio delle Major League che non io, ma il Destino, ti ha fatto perdere. Di mio, per dimostrarti che avevo solo buone intenzioni, ci aggiungo i miei DUE dollari che ti avrei lasciato vincere.”.
Bill, che ascoltava con la testa rannicchiata sul tavolo, lo guardò con due grossi lucidi lacrimoni che gli scendevano dalle guance e disse solo: “Grazie!”.
Jack stava per snocciolare un suo piccolo, arrampicato sermoncino sul gioco, la fiducia, il destino, gli sconosciuti, gli adulti, la buona e la cattiva sorte, la simpatia, le buone intenzioni e quelle maldestre, ma gli argomenti sarebbero stati troppo alti per lui, un povero adulto che giocava con le carte e che non era abbastanza cresciuto per parlare così a un bambino. Si limitò a salutare: “Ciao, Bill… Scusa!” e si sedette a un altro tavolo vuoto, dandogli le spalle.
Sopraggiunse la mamma di Bill che, vedendolo con le gote bagnate di lacrime e con due dollari sul tavolo, gli chiese: “Cosa ti è successo?”. Bill, di rimando: “Non chiedermi nulla. Ordina ciò che vuoi. Offro io!”.





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